Una volta…

B autunno

Una volta sarei andata in cerca di quello che tanti chiamano foliage. Il ballo di fine anno del bosco, trionfo di colori e sfumature, luci calde che accarezzano i capelli e la pelle fresca, castagne e ricci, faggiole nel sottobosco.

Una volta mi sarei informata sui posti migliori, avrei scovato angoli nascosti, avrei fatto chilometri in auto per qualche foto in più, un po’ di arancione che riempie gli occhi, il rosso che infuoca il cuore di quel calore che solo la foresta sa.

Questa volta invece resto qui. Qui nei dintorni, faccio spesso la stessa passeggiata, abitudinaria come i cani. Monitoro i cambiamenti del solito albero che veglia sul ponticciolo, pattuglio i sopravvissuti che ancora picchettano i pendii, do il benvenuto ai nuovi arrivati come loro lo danno a me.

Mi guardo intorno. Mi appoggio al tronco di un tiglio, umido di muschio e licheni, la mia schiena trova rifugio contro quella vita che respira, e i miei respiri si sintonizzano.
Le foglie seguono il vento in un lento senza passi, grazia e gratitudine si stringono al cielo. Un adagio di fruscii che mette ad-agio.

Rallento sull’oro di un larice in lontananza, meraviglioso nel suo vestito a lutto per una stagione che se ne va. È festa in attesa del riposo, e del ritorno.
Resto in ascolto, e imparo la lezione dell’attesa, nessuna urgenza di risolvere, accelerare.
Imparo il tempo paziente che ripara alla stanchezza, il tempo del rispetto.
Inspiro nel corpo l’odore di capre sul pascolo, sorrido con gli stessi occhi bovini a quella grigia alpina che mi guarda dal prato tra le case, le nuvole basse intorno.
Lascio che quell’oro di aghi coli nelle crepe, luminoso, lento.

Provo ad abitare questo posto ferito, e in queste ferite condivise sento, finalmente, aria di casa.