Rovisto tra le foglie alla ricerca delle mele più interne.
Tra le dita la sensazione ruvida di qualcosa di diverso. Ho trovato un nido.
È il primo che mi capita, il primo di molti che verranno: merli, tordi, cardellini, fringuelli, verzellini.
Spesso a indicarmeli è un cacciatore. Mi disorienta l’affinità di interessi, la discrepanza di scopi.
Imparo ad accettare queste sensazioni, a fare posto a ciò che mi provoca disagio.
Mentre salgo verso le cime degli alberi più alti scendo verso di me. Mi alleno a conoscere, distinguere, ascoltare. Sono giorni in cui più che mai imparo la mia direzione da chi non mi assomiglia.
Giorni in cui accompagno altre vite nel segreto delle distanze, delle virate, delle rotte.
Ancora una volta fly baby, fly.
Ma non è solo questo che imparo.
Tra filari e pergole stacco frutta e attacco pensieri.
Silenzi accaldati o infreddoliti danno il cambio a frasi essenziali intrecciate di dialetti, aneddoti, esperienze. Così diverse ed estranee, eppure anche così familiari.
Piano mi spoglio di parole, mi vesto di gesti semplici e umidi, prima di sudore e poi di brina, ché da agosto ad ottobre i giorni si fanno ogni giorno un po’ più screpolati.
La schiena si contrae, l’anima si stende di tenerezza.
Maglie appese qua e là tra i rami, mentre la natura fa il suo giro.
Imparo segnali senza fronzoli, sguardi che si intendono, attenzioni preziose tra terra e cielo. Mi riconosco nei miei limiti, disallenata a questo tipo di lavoro.
E mi voglio bene perché ci provo, perché a volte ci riesco, perché a volte sono esausta.
Nella fatica della disabitudine la gratitudine disseta, il sonno mi fa scivolare in un nuovo giorno con una serenità insperata.
E se la pioggia bagna i campi e ferma i lavori, è insieme tempo amaro di sospensione e tempo dolce per recuperare.
Imparo come il viso possa sbocciare dentro una carezza a fine giornata, regalata con le mani sporche di polvere e lavoro.
Imparo che mani stanche possono ancora porgerti boccioli fuori stagione, bouquet che vale balsamo al cuore.
Imparo che di case qui in campagna ce ne sono infinite, invisibili, scomode eppure preziose, presenti, necessarie.
Penso che casa, a volte, è semplicemente un posto dove vengono soddisfatti bisogni essenziali.
Altre volte è un luogo dove raccogliere le forze, o solo dove raccogliersi.
Altre ancora è un riparo per la solitudine, o un ritrovo per la famiglia. Casa è un luogo, fisico o immaginato, dove sentirsi al sicuro. Casa a volte è uno stato mentale, uno spazio che rigenera, che alimenta sensazioni di pace.
Casa è dove fare caso.
È luogo di memoria, definisce, protegge, custodisce radici e nutre ali.