In times like these direi che è assurdo mettere in discussione l’utilità dei media.
Attraverso di loro ci informiamo, ci teniamo in contatto, ci facciamo pubblicità, vendiamo e compriamo di tutto, scopriamo nuove mete e nuovi libri, ci emozioniamo tra parole e immagini e musiche, troviamo risposte a tante domande, ci relazioniamo al mondo. Sono una presenza pervasiva, certo, ma talmente indispensabile che, a meno di non volerci autoescludere da quasi tutto, non ci possiamo porre drasticamente il problema di non usarli, di non starci dentro, in mezzo, intorno.
Eco selvatica stessa è online, anche se si nutre di natura e filosofia, di passi e pensieri che stanno di certo più a loro agio nel bosco che davanti a uno schermo.
Online dobbiamo starci, altrimenti sarebbe come non esistere no?
Mi chieod tante volte quale sia il giusto equilibrio tra il bisogno di rifugiarsi in luoghi – esteriori o interiori – più profondi e disconnessi e la necessità di stare in questo tecnomondo.
Non è una risposta facile. Forse nemmeno c’è una risposta. Però c’è qualcosa che posso fare, perché ne ho voglia, perché fisicamente mi è ormai indispensabile.
Io, adesso, mi prendo una pausa.
Mi trasferisco per un po’ a lavorare all’aperto.
Stare online richiede tempo, energie, risorse e restituisce, quando va bene, qualche like e poco più. Non voglio sparire, ma neanche essere succube di queste dinamiche, dove se non paghi non hai visibilità alcuna e se pubblichi cose tendenzialmente intelligenti hai comunque meno riscontro di un gattino o del tuffo in piscina qualsiasi dell’influencer qualsiasi.
Voglio solo respirare un po’ dietro le quinte. Stare offline per ritrovare profumi, silenzi, colori, sonno, fatiche sane e cibo buono a fronte di un digiuno tecnologico.
Mi prendo un po’ di spazio per tacere, spazio per pensare senza dire.
Spazio per fare senza digitare.
Mi prendo un po’ di tempo per scoprire quella me che ancora non conosco.