Mi inchino agli alberi.
Anche se non lo faccio quasi mai in maniera eclatante. Non piego il capo davanti a loro a un’ora precisa, non mi inginocchio, non sussurro cantilene.
Ogni tanto mi piace appoggiare la fronte alla corteccia, chiudere gli occhi e lasciare che tutto scorra. Via, o dentro, o verso.
La maggior parte delle volte però è solo una questione interiore, quella della direzione che prendono lo sguardo e il cuore quando si volgono a loro.
Amo soprattutto le conifere di quei boschi custodi di pace.
L’eleganza e la fragilità insieme, la complementarietà della dolcezza e della potenza.
Ai piedi di un larice, di un cirmolo, di un abete bianco o rosso o di un pino silvestre bisbiglio parole di gratitudine. Perché lì, accoccolato sulle loro radici o aggrappato intorno al loro tronco o ancora incantato sulla delicatezza dei loro aghi c’è uno dei miei tanti debiti di riconoscenza.
Gli alberi sono i miei altari.
Vicino a loro prego. Non un dio maiuscolo, ma solo i tanti piccoli dei che si rincorrono nella foresta.
Vicino a loro mi cerco, mi ascolto, ogni tanto mi trovo, il più delle volte mi perdo.
Vicino a loro mangio i cracker con le noci, il mio reintegro preferito delle camminate in montagna.
Vicino a loro faccio pipì ogni volta che scappa, si mescola a quella degli animali e alla pioggia.
Vicino a loro piango, e sul tronco colano lacrime che a volte sanno di sale, a volte di resina.
Vicino a loro mi rifugio, perché è casa per molti, e un po’ anche per me.
Vicino a loro sono felice, perché il cielo non è mai solo da lì sotto, ma sparpagliato di foglie e intrichi di rami e carezze di vento.
Gli alberi sono i miei altari perché sono la sacra ostinazione che rimane all'esistenza, essenza divina che resta accesa nel mondo.
Non quella imbalsamata nei centrini o nei santini, nelle convenienze o nel rispetto della forma. Quella per me è una taglia in meno per lo spazio del respiro.
Gli alberi sono gli altari che amo. Quelli dove posso celebrare il mio essere umana a tutto tondo, anche quando sono piena di spigoli. E se dal loro legno nascono croci e tavoli, panche e portoni… è sotto a quel legno quando ancora ha radici e funghi e formiche che lo esplorano e licheni e pigne che preferisco stare.