Non è certo luogo per troppe geometrie il blog di un’umanista, giusto?
Eppure la definizione più pop di geometria è “quella parte della matematica che studia lo spazio e le sue figure“.
A questo punto penso: lo spazio lo abitiamo tutti, non solo i matematici e gli scienziati. Lo spazio lo riempiamo, lo organizziamo, lo esploriamo. E le sue figure le tocchiamo, le costruiamo… le cuciniamo.
Quello che mi piace della geometria dei frattali, pur fermandomi ben prima delle funzioni che provano a codificarla, è la questione della ripetizione tendente all’infinito dei suoi motivi. Sarà che mi riporta a disegnare mandala, o che il ritmo ripetitivo di un gesto, dal mescolare un risotto al camminare, mi regala sollievo ai pensieri aggrovigliati. Sarà anche che, per me che nella mia inquietudine alla fine sono abitudinaria come un cagnolino, la ripetizione non è noia ma riscoperta.
Ripetere – e quindi riscoprire – fino all’infinitamente piccolo, intuendo via via qualcosa in più. L’idea dei frattali è artisticamente, matematicamente, naturalisticamente e spiritualmente affascinante, soprattutto se pensiamo ad alcune proprietà che li contraddistinguono, come per esempio l’essere simili a se stessi, ovvero un tutto che si manifesta in qualche modo uguale alle infinite parti che lo costituiscono; o la struttura ricamata in nuovi dettagli che appaiono ad ogni ingrandimento; o ancora e al contempo una disarmante irregolarità che non soddisfa le condizioni classiche della geometria euclidea o analitica.
Forse quando ti ho detto che ero normale ho un po’ esagerato.
Ripenso a questa frase che ho letto qualche tempo fa. Sono matta quindi? Può essere! Perché ieri, mentre mi preparavo un pranzo a base di cavolo romano al vapore, radicchio al forno e fragole mi perdevo in questi pensieri… pensieri sull’insoddisfazione delle condizioni date, sulla ripetizione che si fa novità via via che si rimpicciolisce, sul modo giusto – se esiste – di interromperla senza rovinarla. Insomma, pensieri che assomigliavano a un mantra dei gesti e delle forme, che apparecchiavano in tavola ispirazioni, associazioni psichedeliche forme e buon cibo.