Le nostre anime conoscono una saggezza ancestrale. Dobbiamo solo, ogni tanto, ricordarglielo e riconfermare la nostra fiducia.
Dobbiamo recuperare le conoscenze e le esperienze più antiche e sciamaniche, anche se nel mondo in cui viviamo, imbrigliato in dimostrazioni, razionalità e individualismo nominare queste parole “è cosa da stregoni e maghe”, cosa da lasciare ai limiti di questo incedere frenetico, terrorizzato dall’inconscio, dall’incomprensibile, in adorazione della logica, della conquista e del calcolo.
Eppure quelle sciamaniche – ripetiamola questa parola, riprendiamoci la confidenza che con lei avevamo – sono conoscenze che sono sempre appartenute alla cultura orale e popolare, quelle ascoltate dai boschi e dalle montagne, dai villaggi e dalle curatrici, dai nonni e dalle nonne della terra, dalle piante e dalle poesie. Conoscenze che ci hanno resi capaci di un pensiero sul mondo, senza semplicemente attraversarlo.
Abbiamo ancora bisogno di questi spazi, dove riprendere a lavorare con gli strumenti che abbiamo dimenticato, non quelli che troviamo nella cassetta degli attrezzi o tra le righe dei libri, ma quelli che si trasmettono nel silenzio dei cuori che si parlano, nei ruscelli che borbottano, nei semi che il vento sparpaglia in noi. La Terra è la nostra maestra e per ascoltare la musica che intona il mondo deve farsi poesia, mettere in metrica bellezza.